Il TAR Calabria – Sezione Staccata di Reggio Calabria ha di recente sollevato una questione di legittimità costituzionale su una delle norme che compongono la disciplina delle c.d. interdittive antimafia (TAR Calabria, sez. Reggio Calabria, ord. 28 ottobre 2024, n. 646). Il giudice amministrativo ha posto così in luce una discrasia ‒ l’ennesima ‒ che caratterizza il complesso sistema della c.d. prevenzione amministrativa antimafia, argomento di studio dell’unità di ricerca dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” nell’ambito del PRIN Borderline.
Oggetto dei dubbi di costituzionalità è la previsione, al comma 7 dell’art. 34 bis c.a.m., della riviviscenza degli effetti dell’informazione interdittiva alla scadenza del controllo volontario e, più precisamente, nel lasso di tempo fra lo spirare della misura di bonifica aziendale con esito positivo e la rivalutazione della permeabilità mafiosa imposta al prefetto dal comma 5 dell’art. 91 c.a.m.
La vicenda che ha dato la stura all’ordinanza di rimessione rende immediatamente evidente l’aporia riscontrata dal giudice amministrativo. Una società di costruzioni, destinataria di una interdittiva e poi ammessa al controllo c.d. volontario, subiva la risoluzione di un contratto di appalto per una grande opera a causa dell’approssimarsi del termine finale non più prorogabile dell’istituto di cui all’art. 34 bis c.a.m. Nonostante l’esito positivo del controllo volontario, la stazione appaltante non poteva che prendere atto del ripristino degli effetti dell’interdittiva, non essendo nel frattempo intervenuta una rivalutazione in negativo della permeabilità mafiosa dell’azienda da parte del prefetto.
Ebbene, secondo il TAR, un tale risultato pregiudizievole e automatico non poteva in alcun modo evitarsi, come invece ipotizzato dal ricorrente, stante il tenore letterale del co. 7 dell’art. 34 bis c.a.m. Nondimeno, anche nell’opinione del rimettente, la previsione del codice antimafia risulta inconciliabile con diverse disposizioni costituzionali.
In primis, lederebbe l’art. 3 Cost. determinando delle disparità di trattamento non giustificabili. Se, infatti, chi è destinatario di una informazione interdittiva può agire in autotutela, diversamente chi si trova nella fase di transizione fra lo scadere del controllo e l’emissione dell’informazione liberatoria non potrebbe né dolersi degli effetti della precedente interdittiva (a causa del giudicato formatosi sul punto), né chiedere l’ammissione al controllo volontario (per carenza del requisito della impugnazione dell’interdittiva). Allo stesso modo, in questo limbo non si potrebbe neppure proseguire l’esecuzione dei contratti già stipulati od ottenere nuove aggiudicazioni, come previsto, invece, per le imprese che, non ottenuta la tutela cautelare invocata a corredo del ricorso avverso l’interdittiva, vengano ammesse su domanda al controllo volontario.
Proprio la mancanza di qualsivoglia strumento per contrastare il ripristino degli effetti dell’interdittiva priverebbe inoltre l’interessato del diritto di difesa, così violando gli artt. 24 Cost. e 13 CEDU, per il tramite dell’art. 117 Cost., e si porrebbe in contrasto anche con i principi di cui agli artt. 111, co. 1 e 2, e 113 Cost.
L’art. 34 bis, co. 7, c.a.m. risulterebbe, poi, difficilmente conciliabile anche con il dettato dell’art. 97 Cost. sotto un duplice profilo. Prima di tutto, determinerebbe un “cortocircuito normativo”, dal momento che non consentirebbe al controllo volontario di raggiungere il proprio scopo ‒ quello, cioè, di reimmettere nel mercato legale l’azienda ormai bonificata ‒, determinandone piuttosto l’ostracizzazione. In secondo luogo, lederebbe i principi di efficienza ed economicità, dal momento che la riespansione degli effetti dell’interdittiva alla scadenza del controllo giudiziario comporta l’onere per le stazioni appaltanti, nel caso di contratti in corso di esecuzione, di provvedere alla sostituzione dell’impresa appaltatrice, con inevitabili ritardi e aggravio dei costi.
Secondo il TAR, inoltre, dai profili appena evidenziati emergerebbe in maniera chiara come la riviviscenza degli effetti dell’interdittiva violi anche il canone di proporzionalità/ragionevolezza. Il sistema, difatti, non sarebbe dotato di un opportuno meccanismo di graduazione della riespansione dell’efficacia della misura, né mitigato da diverse soluzioni possibili per superare il vulnus, quali quella di rendere operante il meccanismo della condizione risolutiva di cui al co. 3 dell’art. 92 c.a.m. nel caso di inosservanza del termine per il rilascio dell’informazione antimafia o la proroga del controllore giudiziario sino alla definizione del procedimento di rivalutazione della permeabilità mafiosa. In conclusione, il TAR prospetta l’adozione di una pronuncia manipolativa di tipo additivo quale possibile soluzione ai dubbi di legittimità costituzionale formulati. Un tale intervento ‒ consistente nella la protrazione della sospensione dell’efficacia dell’interdittiva sino alla definizione del procedimento di aggiornamento ex art. 91, co. 5, c.a.m ‒ si ritiene ammissibile rappresentando «l’unica soluzione che consenta di rimediare ai rilevati profili di illegittimità».